24 luglio 2010

La solitudine

Spesso parte dell'estate, quando ero ormai già stato in colonia a Francavilla e mancavano ancora giorni alla riapertura delle scuole Nolli, le passavo dal nonno, nella sua casa in campagna, alla Madonna della Misericordia. Molto tempo lo passavo a osservare il cielo, la notte che precede l'alba, verso le 4. Le stelle erano ancora tutte lì. Come ogni notte, io alzai gli occhi al cielo e compii rapidi calcoli, aiutandomi con le braccia, come se davvero potessi avere la certezza che gli astri luccicanti fossero gli stessi della notte prima. «Sempre col naso per aria, tu», mi rimbrottò il nonno Antonio. È vero, c'era qualcosa nella volta luminescente che mi attirava.Tenete conto che avevo appena 9 anni e nel '56 facevo appena la terza elementare. Non era solo lo spettacolo coreografico ad affascinarmi, o il desiderio di scoprirci il volto della mia mamma, ma la convinzione che le stelle avessero qualcosa di importante da comunicarmi. Qualcosa che aveva a che fare con il mio futuro. E quando si hanno nove anni, si sa, di futuro ce n'è in abbondanza là davanti. L'odore di sterco e di paglia mi accolse con l'usuale decisione. Dalle stelle alle stalle il passo era breve nelle giornate di un apprendista contadino. Anche se era curioso chiamarle giornate, quando cominciavano alle quattro del mattino. Presi il mio sgabello a una gamba e mi posizionai davanti alla prima vacca da latte. Prima di tutto si cominciava con il pulire la mammella. Il nonno diceva che bisogna farlo bene e poi asciugare anche meglio, con dei panni molto puliti. Una volta avevo saltato questo passaggio e lui si era arrabbiato come una bestia. Era diventato talmente rosso che temetti potesse scoppiare da un momento all'altro. La mungitura non era un gioco mi ripeteva sempre. Era un lavoro serio, da uomini veri. L'operazione andava fatta in breve tempo, sei sette minuti. Otto al massimo. Durante il tempo della mungitura nel locale non dovevano verificarsi rumori, o cambiamenti repentini di temperatura, l'animale doveva essere tranquillo, non subire maltrattamenti, altrimenti chiudeva i rubinetti e addio latte. Nessuno parlava. Solo il rumore dei secchi e del latte che vi veniva versato riecheggiava tra le pareti della stalla. Come sempre faceva un gran caldo là dentro. Il miracolo che avevo tra le mani non riusciva quasi mai a contrastare la sonnolenza che tendeva a riportarmi verso il mondo dei sogni. Ogni tanto la testa mi cadeva in avanti. Sbattevo contro il corpo dell'animale e venivo destato immediatamente dai suoi rimbrotti. Svuotai il mio bottino liquido nel secchio e mi accinsi a mungere un'altra vacca, quando il nonno mi mandò a prendere una certa caldera rimasta di fuori. Il passaggio dalla calura della stalla al freddo notturno mi sferzò. Lanciai un'occhiata alla valle là sotto, al paese e ai prati tutt'attorno. Tutto taceva. La gran pace gonfiava il cuore di una sensazione simile alla speranza.L'abbraccio della natura aveva davvero la possenza e la totalità dell'abbraccio materno, lo stesso potere di farti dimenticare tutto il resto, di ridurre la paura al rango di sciocchezza. Afferrai la caldera, ma la riposi un attimo dopo. In cucina doveva essere avanzata un po' di polenta dalla sera prima. Non mi sarebbe dispiaciuto mandarne giù un boccone. Così, tenendo d'occhio l'ingresso della stalla dalla finestra, lasciandomi guidare dal languore della fame, mi sedetti e tirai il fiato, addentando l'informe agglomerato giallo. «Un minuto» giurai a me stesso. Il nonno non si sarebbe accorto di nulla. A me il sapore della polenta rafferma ricordava sempre la mia mamma. Se ad ogni ricordo ci leghi un odore o un sapore è più difficile che possa improvvisamente svanire. Il nonno, ad esempio, che si scorda un sacco di cose, non la voleva mica capire questa cosa qui. Ogni volta che provavo a spiegargliela lui mi urlava che chi nasce contadino non muore filosofo. Una ciotola che cade sul pavimento, uno scarpone, un colpo di tosse.L'urlo sguaiato del nonno perforò il cristallo del silenzio. Mi precipitai giù per le scale, afferrando al volo la caldera, e mi presentai davanti a lui. Una delle fortune di avere un nonno come padrone era che i suoi riflessi sono estremamente lenti. Così quando provava a darmi un calcio ci metteva talmente tanto che io avevo tutto il tempo di scansarmi e magari fargli anche uno sberleffo. Mi accusò di aver mangiato, ma io negai. È la regola principe di noi bambini: negare, negare, negare. Lui infilò una serie di improperi che si sciolsero in un mezzo sorriso finale. Avevo vinto. Mi passai una mano sulla bocca e mi accorsi di avere un pezzetto di polenta sulla guancia. Ripresi il mio sgabello e riattaccai a massaggiare mammelle e a spillare latte. Quando al mattino mi svegliavano per la mungitura, facevo sempre molta fatica a lasciare il mondo dei sogni. Era una specie di trauma. Come se qualcuno, ogni volta, mi riempisse di botte senza nemmeno toccarmi. «Sempre col naso per aria, tu», mi rimbrottò il nonno. Lo spettacolo della volta celeste ripagava ampiamente dello sforzo della levataccia. Tuttavia quel mattino percepii un insano malessere. C'è, infatti, in ogni forma del piacere un retrogusto sgradevole, una prerogativa del male che mina in maniera invisibile quel benessere. Una briciola di disagio che ti impedisce di godere pienamente di ciò che hai davanti agli occhi, sotto ai denti o tra le mani. Quella notte, perdendomi tra le costellazioni e le galassie lontane, avvertivo uno strano peso sullo stomaco, un grumo di angoscia che mi teneva all'erta.La stalla era il teatro dell'usuale convegno mattutino e io uno degli attori che, imperterrito, continua a restare sul palco nonostante si sia reso conto, già da un po', che gli spettatori altro non sono che una mandria di catatonici bovini. Che senso aveva tutto ciò? Tra noi e le stelle c'era una distanza enorme, eppure io le potevo sentire vicine, quasi toccarle con mano. Peccato che nessuno in quella stalla volesse dividere con me questi pensieri. Troppo intenti nel lavoro, si perdevano in parole colme di banalità o in un silenzio innaturale. Troppo innaturale per un essere che ha facoltà di parola e di raziocinio.


3 commenti:

  1. bello sto primissimo piano della mucca!

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  2. Io ho munto la "frisona" nella stalla del nonno allora e mi è ricapitato di farlo su a Mendrisio, quel giorno che con la famigliola eravamo in ferie, mungere una mucca al pascolo e raccogliere il latte nel bicchiere di carta della coca cola. Ne ho rassaporato il gusto e l'odore che non ha nulla a che vedere con quello del latte nelle scatole dei supermercati.

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  3. Nonno-enio, scrivi e racconti che è una meraviglia.
    Passerò ogni volta che potrò.
    Complimenti.
    Nounours

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