27 giugno 2018

Tasse tasse, sempre tasse

Tasse, maledette tasse. Ci tocca pagarne un fottio e non sappiamo perché. Dove finiscono i nostri soldi? A quali scopi vengono usati dallo Stato? Nessuno ce lo ha mai detto. È un segreto. Infatti, benché pubblici, i bilanci non spiegano chi e quanto incassa. Si limitano a riassumere le uscite: tanto per l' istruzione, tanto per la sanità eccetera. Dati riassuntivi da cui si evincono le spese sostenute globalmente. Mancano i dettagli, l'identità di quelli che hanno intascato e per quale motivo. Un presidente della commissione, appunto, di bilancio, alcuni anni orsono mi ha confidato di non aver mai visto, dicesi mai, gli allegati della contabilità, i soli buoni per conoscere i nomi di quelli che hanno percepito i denari prelevati dalle nostre tasche. Per quale ragione non si rendono note le varie voci che prosciugano gli introiti fiscali? Il problema probabilmente è il seguente: i funzionari dei ministeri, coloro che comandano davvero ai vertici delle istituzioni, buggerando anche i politici (ignoranti quali sono), distribuiscono liquidi a chi scelgono loro, cani e porci, senza che vi sia qualcuno in grado di controllare, eventualmente tagliare o almeno correggere. Responsabili di dicastero e sottosegretari di solito sono inesperti e si fidano delle informative false fornitegli dai burocrati, e in base ad esse prendono provvedimenti ovviamente sbagliati. Cosicché il patrimonio statale viene sprecato per favorire gli amici degli amici, cioè sperperato, dissipato in iniziative che col bene comune non hanno nulla che vedere. Ecco perché le imposte versate dai cittadini (una minoranza di onesti) non bastano mai e il famigerato debito seguita ad aumentare.

27 maggio 2018

Tra i 2 litiganti lo spread vola

Era da almeno sette anni che lo spread non tornava a fare così paura. Dai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, seguito da quello tecnico guidato da Mario Monti. Ieri, i mercati sono tornati a scommettere contro l’Italia facendo lievitare il differenziale di interesse tra i Btp a dieci anni e gli equivalenti Bund tedeschi fino a quota 216. E solo nella parte finale della giornata, il trend si è invertito limando l’impennata a 204 punti base. In ogni caso, circa 80 punti in più rispetto al livello lasciato in eredità dall’esecutivo uscente. Ogni calcolo è naturalmente approssimativo, molto dipenderà da quello che si registrerà sui mercati nei prossimi mesi. Ma cento punti di differenziale del nostro spread valgono circa 20 miliardi di euro in più sugli interessi che paghiamo ogni anno per onorare le scadenze del nostro debito pubblico. Era da almeno sette anni che lo spread non tornava a fare così paura. Dai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, seguito da quello tecnico guidato da Mario Monti. Ieri, i mercati sono tornati a scommettere contro l’Italia facendo lievitare il differenziale di interesse tra i Btp a dieci anni e gli equivalenti Bund tedeschi fino a quota 216. E solo nella parte finale della giornata, il trend si è invertito limando l’impennata a 204 punti base. In ogni caso, circa 80 punti in più rispetto al livello lasciato in eredità dall’esecutivo uscente. Ogni calcolo è naturalmente approssimativo, molto dipenderà da quello che si registrerà sui mercati nei prossimi mesi. Ma cento punti di differenziale del nostro spread valgono circa 20 miliardi di euro in più sugli interessi che paghiamo ogni anno per onorare le scadenze del nostro debito pubblico. Più o meno quello che servirebbe per finanziare il reddito di cittadinanza e lo stop alla riforma Fornero.

16 aprile 2018

E' possibile fare un governo senza Silvio?


Ecco il rebus che neanche i politologi più consumati né i matematici più esperti riescono a risolvere: come si fa a fare i conti senza Silvio? Perché è su questa pregiudiziale dei Cinque Stelle («con Berlusconi mai») che il governo in teoria più solido dal punto di vista numerico e sicuramente il più legittimato dal voto popolare, ossia l’anomala coalizione fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, rischia di naufragare ancor prima di prendere il largo. L’ombra del «fattore S» come Silvio s’allunga sull’ormai prossimo e secondo giro di consultazioni al Quirinale, mentre l’Italia s’avvia verso i quaranta giorni senza un nuovo esecutivo da quando gli italiani, lo scorso 4 marzo, sono andati alle urne. E con malizia si potrebbe osservare che, a parte le istituzioni e i soggetti interessati, pochi ne sentano la mancanza. È un buon segno: il Paese va avanti anche senza i necessari e prescelti timonieri, come del resto hanno già sperimentato anche la Spagna e perfino la Germania con mesi di trattative prima di trovare un governo di compromesso. Da noi si sa che il presidente Sergio Mattarella vuole concedere tempo, ma senza esagerare: prima dell’estate la soluzione dovrà essere trovata e votata in Parlamento. Ed è qui, tra quelli che hanno il pallottoliere in mano, che si svolge il dialogo tra sordi. Per i Cinque Stelle Berlusconi a destra è ancor più indigesto che Matteo Renzi a sinistra. Allearsi col Cav significherebbe tradire la linea politica di sempre e far infuriare il popolo pentastellato.

28 marzo 2018

Albertone nostro


“Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che compiono azioni malvagie ma per quelli che osservano senza fare nulla.”

Albert Einstein


“Solo due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, riguardo l'universo ho ancora dei dubbi.”

Albert Einstein


“Si può dire che l'eterno mistero del mondo sia la sua comprensibilità. Il fatto che sia comprensibile è un miracolo.”

Albert Einstein


“L'amore del potere non vale niente, il potere senza amore è l'energia spesa invano.”

Albert Einstein

21 gennaio 2018

A Marzo finalmente si vota


Mancano diverse settimane all’appuntamento elettorale del 4 marzo, e in questi giorni ne abbiamo sentito di tutti i colori. Parole più o meno in libertà, promesse degne di Cetto La Qualunque (ancora non abbiamo sentito il fatidico slogan «Cchiù pilu pe’ tutti», ma siamo fiduciosi), sogni e desideri più o meno realizzabili. 

15 gennaio 2018

Avete sentita la penultima di Renzi ? Il caso riguarda il Canone Rai, che rinasce ogni volta dalle sue ceneri. E la polemica tiene banco anche stavolta. A lanciare il sasso è stato Matteo Renzi. Liberare gli italiani da una delle tasse più odiate, il canone della Tv pubblica? Bene, benissimo. Tanto più che ormai, nelle nostre case le nuove tecnologie digitali hanno mandato in soffitta il monopolio Rai. Quello che stupisce è che a firmare la proposta sia il segretario dello stesso partito che un anno fa ha deciso di far pagare il canone nelle bollette elettriche, con l'obiettivo di combattere l'evasione e dare una mano consistente ai dissestati bilanci dell'azienda. Un giro di boa per lo meno sospetto, non solo perché avviene in piena campagna elettorale. Ma anche perché rincorre quello che è stato uno dei cavalli di battaglia delle forze di opposizione al governo Renzi, a partire dai Cinque Stelle. Il problema però, non è solo politico. Cancellare il canone senza inserire questa operazione in una riforma organica del sistema televisivo, rischia di proporre un rimedio peggiore del male. In primo luogo non viene detto in che maniera le risorse generate dal canone potrebbero essere sostituite. L'unica alternativa credibile, al momento, è quella di spalmarlo sulla fiscalità generale, determinando un aumento delle imposte in un Paese dove perfino un incremento di pochi centesimi sulle buste per la spesa ha scatenato un delirio di proteste. Senza i fondi del canone, del resto, l'azienda sarebbe costretta a una drastica cura dimagrante o a rivedere i bilanci. Tagliando non solo gli stipendi, ma anche quei piani di investimenti necessari per affrontare un mercato sempre più agguerrito. In secondo luogo, se davvero si vuole abolire il canone, occorrerebbe avere il coraggio di vendere la Rai ai privati, lasciandola vivere solo con i proventi del mercato. Una strada annunciata ma mai percorsa da tutti i governi degli ultimi venti anni. Con queste premesse, la proposta del Pd non solo rischia di cadere nel vuoto ma può alimentare nuove derive populistiche. Anche perché è irrealistico pensare che in piena competizione elettorale i partiti a caccia di voti possano rinunciare alle passerelle mediatiche offerte dalla Tv di Stato. La verità è che ci sono temi troppo delicati per essere buttati nel tritacarne della campagna elettorale, mentre, per una volta, bisognerebbe abbandonare la strada delle facili promesse elettorali e imboccare quella degli impegni credibili. 


02 gennaio 2018

Italia malata: il 2018 anno cruciale


Un'Italia stanca, sfiduciata, che non crede più a nulla, carica di astio e di rancori, si affaccia sul nuovo anno che fra qualche ora sta per iniziare. Mai la fiducia nelle istituzioni e nel parlamento dal dopoguerra ad oggi è stata così bassa (più ancora che negli anni di tangentopoli, quando si credeva nella magistratura e nella palingenesi giudiziaria). La crisi economica che ha impoverito gli italiani, il bisogno di sicurezza di fronte alla globalizzazione e agli spostamenti di popoli, la delegittimazione della politica, hanno svuotato di speranza il sentire comune e la percezione del domani. Non si crede più nemmeno nella democrazia, e nella sua capacità di migliorare il nostro vivere e la libertà di ciascuno. In tutta Europa sta riprendendo terreno la voglia di autoritarismo, e anche in Italia - come confermano studi diversi - è tornato il desiderio dell'«uomo forte», un capo deciso capace di gestire i problemi, specie la sicurezza e i migranti. Del resto, dalla Russia di Putin alla Turchia di Erdogan, dalla Thailandia alle Filippine all'Egitto, a paesi europei come la Polonia e l'Ungheria, il fascino dell'autoritarismo ha preso il posto dei valori democratici e del rispetto dei diritti umani e politici. Si torna a parlare anche in Europa di rischio per la sopravvivenza della democrazia, minacciata dalla stanchezza verso le istituzioni viste come deboli di fronte alla nuova situazione, e soprattutto minata dalla paura, dal bisogno di sicurezza e di ordine, che l'incertezza politica e la sfiducia nelle classi dirigenti non sono in grado di garantire. L'Italia è in questo momento la più esposta a tale disordine destabilizzante, alla vigilia di un'elezione politica fra le più delicate e importanti dal 1948 ad oggi. L'implosione del sistema politico e la fragilità del sistema elettorale non in grado di trasformare in linea di governo un consenso frammentato, fanno temere una profonda e duratura instabilità del Paese, privo di governabilità, sottoposto a tensioni e a speculazioni finanziarie, ininfluente nelle scelte future sul nuovo assetto europeo, paralizzato nelle decisioni economiche, industriali, del lavoro, delle infrastrutture. L'incapacità di prendere decisioni, la sfiducia verso ogni istituzione, la stanchezza per tante speranze frustrate nel tempo, sono il brodo colturale dentro cui matura - come la storia insegna - l'angosciata sensazione di caos che spinge verso l'autoritarismo.