È stato assolto, perché ha agito in stato di necessità, il paziente trentino che si coltivava la cannabis in proprio utilizzando lo stupefacente per lenire dolori lancinanti, postumi permanenti di un grave incidente stradale. È una sentenza che segna un precedente importante quella pronunciata ieri pomeriggio dal giudice Enrico Borrelli. Di fatto è stata dunque accolta la tesi dell’avvocato difensore, Fabio Valcanover, che nella sua arringa aveva puntato proprio sulla «non punibilità di chi ha agito costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile». Ripetuti interventi chirurgici che si erano susseguiti dopo l’incidente non avevano cancellato il dolore, divenuto anzi insopportabile anche con la somministrazione di antidolorifici. «La quotidianità del signor (omissis) - ha scritto Valcanover nella sua articolata memoria difensiva - era stravolta dal dolore e dalle cure inefficaci e intollerabili.Dopo aver provato, con scarsi risultati, i medicinali tradizionali, l’uomo scopriva (rivolgendosi al mercato illegale) il sollievo dato dalla cannabis che «provocava un sensibile affievolimento del dolore» (come confermato anche dai medici). Ma il costo al grammo, dai 6 ai 15 euro, era troppo elevato. Inoltre, fino all’agosto del 2016 il servizio sanitario provinciale non forniva preparati a base di cannabis e comunque i costi della cannabis farmaceutica erano ancor più salati (dai 22 ai 36 euro al grammo). In questa situazione, stretto tra il primario bisogno di cura e l’impossibilità di ottenere la terapia in modo costante, sicuro e gratuito, il paziente iniziava una «auto produzione domestica destinata - ha sottolineato in aula l’imputato - puramente alla assunzione personale per uso terapeutico». Il 6 agosto del 2016, però, i carabinieri scovarono la piantagione casalinga e sequestrarono una ventina d piante denunciando il coltivatore.
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