09 agosto 2019

Il dado è tratto



Il dado è tratto. Dopo 17 mesi finisce la traversata del governo giallo-verde. Al premier, Giuseppe Conte, non resta che l’ultimo passo: tornare alle Camere per prendere atto di non avere più una maggioranza. Ma prima, in tarda serata, convoca una conferenza stampa a sorpresa per sparare a zero contro Salvini: «Dovrà spiegare al Paese perché ha deciso la brusca interruzione del governo del cambiamento». Ed ancora: «Non sono più disposto ad accettare le critiche di chi dice che noi siamo il governo del no. Abbiamo lavorato molto e parlato poco». Infine, l’ultima stoccata: «Non toccherà al ministero dell’Interno decidere i tempi e i modi della crisi». Conte, insomma, non ha alcuna intenzione di gettare la spugna. Ieri, il premier, è salito al Quirinale per informare Mattarella. Poi, subito dopo, il faccia a faccia con Salvini, concluso con una nota al vetriolo del leader della Lega, che ha stroncato sul nascere ogni ipotesi di «rimpastone» di governo: «Inutile andare avanti fra no e litigi. Restituiamo velocemente la parola agli elettori». Fra i 5Stelle, il partito che più di ogni altro non vuole correre alle urne, fino all’ultimo si era cercato di ricucire la maggioranza. Poi, però, la situazione è precipitata. E a Di Maio non è rimasto altro da fare che lanciare l’ultima trincea: «Prima di andare al voto tagliamo i parlamentari». Le prossime 48 ore saranno decisive. La macchina del voto anticipato si è messa in moto. Il presidente della Camera, Fico, ha incontrato Mattarella per «parlamentarizzare» la crisi. Con il numero uno del Senato ci sono stati contatti telefonici. I capigruppo dei partiti stanno richiamando i parlamentari dalle ferie. In realtà, il percorso che porta alle elezioni è tutt’altro che semplice. Il nuovo terremoto politico, infatti, arriva nel momento più delicato delle scelte economiche del Paese. Iniziando da quella più importante, la legge Finanziaria, che dovrà essere inviata a Bruxelles entro il 15 ottobre e approvata dall’esecutivo alla fine del mese. Se si andasse a votare nella prima finestra utile, quella del 13 ottobre, è davvero difficile che la legge-chiave della politica economica del Paese, possa essere firmata dal nuovo esecutivo.

@nonnoenio

4 commenti:

  1. D’altro canto, senza legge di bilancio scatterebbe non solo l’esercizio provvisorio ma soprattutto il maxi aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia sottoscritte con Bruxelles. Ancora una volta, insomma, è alta la probabilità che sia l’economia a dettare i tempi della crisi politica. E toccherà al Presidente della Repubblica scegliere la strada più opportuna, nell’interesse del Paese.

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  2. Prima tirarono fora er rottamatore, per non rottamare nulla, nemmeno er cnelle. Poi pe' bloccà 'sti bravi ragazzi che invece de buttà li sordi sul mose o sulle altre opere grandiose insisteno pe' riparà li tetti delle scole ormai centenarie, oppure dimezzà er numero dei chiacchieroni politici (ce ne abbiamo più del doppio degli americani), allora se so' nventati er novo duce, er sarvatore che senza na lira riesce a mortipricà peni e pesci pe' tutti aggratiss e visto che er bobbolo comme ar solito si accontenta delle chiacchiere, buttà antri 500 mijjoni pè le votazioni e rimette tutto ar suo giusto posto: NUN TOCCA' NULLA PE' ANTRI 5 ANNI.
    NOI der partito degli under 70.000 stiamo studiando, ma anche 'sta vorta nun vedemo spazi pe' potè scenne in campo come fece er nano a suo tempo, nun ce se 'ncula niscuno, tranne due lettori e 'na cara ragazza che ancora si ostinano a legge i nostri programmi

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    1. Non è la fine di un’illusione. Perché un governo non può essere un’illusione. È la fine di un contratto. La fine di una scommessa. La fine di un’unione quasi illogica fra movimenti fra loro diversissimi in tutto: la Lega e i 5stelle. Considerato l’esito del voto di poco più di un anno fa, era giusto che ci provassero. Era giusto che cercassero di costruire, con una fusione fredda della quale in fondo il capo dello Strato prese solo atto, un’idea d’Italia.

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  3. L’impresa non è riuscita. Anche perché al governo c’erano in un certo senso due opposizioni. Fortissime nel dire cosa non si doveva fare o cosa si doveva sfasciare; meno abili nel costruire. Del resto, per distruggere un matrimonio basta una persona, mentre per farlo funzionare, come noto, ne servono due. In queste ore, non entra però in crisi solo un governo, ma anche una certa Italia, che sarebbe semplicistico definire sovranista e populista.
    È un’Italia spezzata come non mai fra l’egoismo e l’altruismo, fra la paura e la speranza.

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