19 ottobre 2010

La notte del Blasco, eravamo in 7 mila


Due settimane fa sono stato al concerto di Vasco... Ore 21.00: si spengono le luci, si accendono centinaia di display di cellulari e fotocamere pronti allo scatto. Ore 21.02: la mostruosa batteria di casse acustiche sospese spara note del Requiem di Brahms che scivolano all’improvviso nel suono lancinante della chitarra di Stef Burns. Poi appare Lui: jeans chiari, maglia nera e giubbotto di pelle, berrettino d’ordinanza e stivaletti texani.

Attacca “Ho fatto un sogno” e la festa incomincia. È uno show ad altissima energia, giocato su volumi e ritmi potenti ma anche su alcune perle acustiche. Tanta energia ma anche voglia di sana malinconia.

Dopo tre pezzi, il primo saluto: «Ciao ragazzi, che meraviglia, siete carichi ?»... Insomma, grandi emozioni , dove un pubblico dai 15 ai 60 anni (io ero un fuoriquota, ne ho 63 ) ha riempito la sala come raramente avevo visto: oltre settemila paganti. Grande musica, entusiasmo a mille, tutto che gira bene, come direbbe, con semplicità, il protagonista: Vasco è in forma, cavalca in continuazione l’asta del microfono per riscaldare un’atmosfera che certi testi e certi ammicamenti rimandano al sesso (per tutto il concerto svolazza gaio sulle ottomila braccia del parterre un grande profilattico gonfiato a mo’ di palloncino). Il palco è tutto nero, semplice ma efficace, e si avvale di due schermi oltre a un fondale su cui scorrono i nomi dei musicisti, poi presentati personalmente da Vasco.

Le canzoni? Un viaggio lungo e completo fra le perle di una carriera trentennale: dai brani storici come “La nostra relazione”, prima canzone del primo album in vinile datato 1978, all’inedito “Ad ogni costo” passando per i superclassici “Delusa”, “Un senso”, “Sally”, fino alla trionfale, transgenerazionale, storica ma sempre emozionante “Albachiara”, che chiude la festa.

Vasco è sostenuto da una band potente e affidabile: Stef Burns e Maurizio Solieri hano chitarre affilate; Glen Sobel alla batteria sostituisce degnamente in tutta la parte finale del tour il titolare (e infortunato) Matt Laug, fondendosi con lo storico basso di Claudio Golinelli. Gli altri - Clara Moroni ai cori, Andrea Innesto ai fiati, Alberto Rocchetti alle tastiere e Frank Nemola alla tromba - completano il sound potente ma anche generoso di raffinatezze che il Palazzetto non riesce a maltrattare del tutto. Perché, finalmente, si può dire di aver “sentito” e non solo “ascoltato” un concerto rock al Palazzetto, distinguendo le parole e gli strumenti. Vasco era arrivato alle 19, con un’ora di ritardo: un «ciao» ai giornalisti poi si barricava nel camerino. «Stasera non ha voglia di parlare» dice la sua personal manager. Non canterà “Vivere” ma questa sera preferisce «restare spento». Per riaccendersi, evidentemente, sul palco, davanti al suo pubblico.


4 commenti:

  1. Mi è sembrato di essere lì con voi.

    Buona giornata!

    Baci

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  2. l'esserci è stata un'emozione fortissima, Vasco sà dare sempre una carica pazzesca a quelli che lo vanno ad ascoltare

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  3. @Ernest
    andrò anche a Roma al concerto di Paolo Conte, un altro dei grandi cantautori che adoro... un autentico maestro che non ha paura di scrivere 15 nuove canzoni (Nelson) e lanciarle dal suo CD, quando tutto è scopiazzato e male (MP3)su internet...

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