Viviamo sempre di più e questa è una notizia buona. La conseguenza è però che aumentano sempre più le persone che hanno bisogno di essere aiutate nell'ultimo periodo della loro esistenza. Secondo i dati, le persone con indennità di accompagnamento, perché incapaci di deambulare, senza accompagnatore o che necessitano di assistenza continua sono parecchie. Di queste i non deambulanti sono la minima parte, contro la stragrande maggioranza rappresentata da coloro che sono incapaci di compiere autonomamente gli atti di vita quotidiana, come farsi il bagno o andare a fare la spesa. Dietro ognuno di questi casi si nasconde spesso una situazione familiare che si modifica e si plasma sulle nuove esigenze dell'invalido. Solo una minima parte dei non autosufficienti, infatti, è ospite in case di riposo o strutture protette. Parecchi vivno a domicilio e ovviamente nell'assistenza sono spesso coinvolte più famiglie nonché badanti e servizi domiciliari. Situazioni che sono bombe a orologeria non solo per l'anziano o l'invalido, ma anche per chi vi ruota attorno. La situazione della non autosufficienza «è una tra le sfide maggiori che attendono i professionisti della salute e sulla quale bisogna investire non solo in termini gestionali ma anche formativi». Conoscendo la frammentarietà del nostro sistema di sicurezza sociale, le oggettive difficoltà delle famiglie a garantire la continuità assistenziale, lo scarso sviluppo di una filiera assistenziale capace di collegare flessibilmente il domicilio alla residenzialità, la rigidità delle organizzazioni poco inclini a modulare i loro raggi d'intervento forgiandoli sui bisogni delle persone, il forte divario tra quanto allocato ai servizi domiciliari e quanto destinato alla residenzialità, c'è oggi una reale difficoltà di integrare i due mondi professionali (il sociale e la sanità) che sono ancora molto distanti.
Tra i non autosufficienti le femmine sono per numero decisamente più degli uomini e le anziane ultra 65enni sono la maggioranza tanto che la maggior parte di esse rientra nella fascia di età tra gli 80 e i 90 anni. Che a pesare sul bisogno spesso continuo di assistenza sia l'età lo dimostra il fatto che tra gli ultra 90 enni, oltre il 50%, sono titolari del diritto ad avere l'invalidità di accompagnamento e che la percentuale scende al 17,72% nella fascia di età 80-89 anni e al 4,46% in quella 70-79 anni. Ma quali sono le patologie che portano gli anziani a non riuscire più a vivere da soli? La disabilità mentale rappresentano il problema principale nel 41,04% dei casi. Seguono le disabilità riferite a limitazioni dei movimenti articolari (18,54%), le disabilità intellettive (13,83%), le disabilità riferite agli organi di senso (9,37%). Questa la fotografia del mondo della non autosufficienza. La realtà attuale. Ma in futuro? Che la popolazione della nostra Italia stia invecchiando e che in generale sia più che «vecchia» che altrove non è una novità. Alla speranza di vivere più a lungo si associa l'incremento delle patologie cronico degenerative, la prima causa di morte registrata in tutti i paesi industrializzati. Si devrebbe spingere su qualche pedale, sopratutto su quello dell'offerta di servizi (assistenza domiciliare, in primis). Altra questione su cui porre l'attenzione dovrebbe essere che «il bisogno della persona non autosufficiente e il sostegno alla sua famiglia devono essere punti centrali di strategia dell'intervento. Strategia che richiedeerà di essere sviluppata con una rete flessibile di servizi capace di ridurre il gap tra il domicilio e la residenzialità». Infine richiamerei le strutture sanitarie alla «responsabilità professionale» sottolineando come la questione sarà una delle più importanti sfide alla quale ogni organizzazione sarà chiamata a dare risposte.
riduciamo i costi della politica e i soldi ci saranno ancora... altrimenti!!!!!
RispondiEliminala vita si allunga e se non si è autosufficienti si rischia di morire presto e di solitudine !
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