12 marzo 2020

Siamo ormai in trincea


Se contro il Coronavirus, nemico crudele e invisibile, siamo come in guerra - così ammoniscono virologi, medici e infermieri, cioè i nostri valorosi soldati al fronte - adesso siamo arrivati al Piave. E perciò è l’ora di «resistere, resistere, resistere!». Proprio nel momento in cui la soglia dei contagiati supera la quota psicologica dei 10 mila e i decessi (1000 di ieri) raddoppiano ogni due giorni e mezzo, a conferma che il nemico è impietoso ma non invincibile a fronte di 1.000 e speranzose guarigioni, il governo ha finalmente svoltato con misure mai tanto dure in tempo di pace. Ma nell’ora che non perdona, solo l’impegno di ciascuno può fermare l’epidemia, consentendo alla sanità pubblica di curare i malati senza eccezioni anagrafiche o geografiche, e facendo ripartire l’economia. All’insegna del rigore, che è il vaccino italiano per risorgere. Rigore significa che, se le autorità dicono che si deve restare a casa, e il furbetto del quartierino invece se ne infischia della legge e degli altri, la sanzione dev’essere severa. La gravità del momento e i caduti sul campo ospedaliero non consentono il tradimento civico di chi per pura stupidità o colpevole indifferenza fa il gioco del corona, mentre l’intero Paese soffre e combatte. Prima la solidarietà. Rigore vuol dire usare lo stesso pugno di ferro adottato in Italia contro il virus anche in Europa per ripartire. Guai se Bruxelles cavillasse su deficit e parametri, guai se Roma acconsentisse. Bisogna ripagare subito il grande sacrificio degli italiani con un piano di forte sostegno. «È la nostra ora più buia», ha detto il premier Giuseppe Conte, citando Winston Churchill, che promise sangue, sudore e lacrime al suo popolo in cambio, però, della libertà e della vittoria sul nemico.

@nonnoenio