18 gennaio 2017

Chieti - Addio ad Erich Abram, signore delle Dolomiti



Si è spento ieri (lunedì 16 gennaio) a 95 anni Erich Abram, uno dei più grandi alpinisti al mondo. Il suo nome è legato alla famosa spedizione che nel 1954 scalò per la prima volta il K2, la seconda montagna più alta del globo. Insieme a Walter Bonatti e allo sherpa Amir Mahdi trasportò le bombole d'ossigeno necessarie a raggiungere la vetta per Achille Compagnoni e Lino Lacedelli il 31 luglio. Abram, poi, ridiscese al Campo VIII prima della notte del bivacco all'addiaccio di Bonatti e Mahdi a 8.100 metri. Oltre a questo Abram fece il grosso del lavoro della messa in opera delle corde fisse sulla Piramide Nera, la difficile zona rocciosa che si trova poco sotto i 7.000 metri della cima nel Karakorum in Pakistan. Nella sua vita Abram fu anche pilota di piper ed elicottero per il soccorso in montagna aiutando moltissimi alpinisti dopo essere stato frigorista. Con questa attività ha avuto la fortuna e la capacità di girare mondo legandosi particolarmente al Sudan e all'Algeria. Era nato a Vipiteno nel 1922 poi è cresciuto a Bolzano ed ha studiato a Innsbruck dove iniziò ad affrontare vie molto difficili nel Kaisergebirge. In realtà iniziò ad arrampicare giovanissimo a 14 anni. All'età di 16 anni già dominava il sesto grado. Durante la seconda guerra mondiale fu arruolato nelle Truppe Alpine andando nel Caucaso, in Cecoslovacchia ed in Grecia. In Russia fu fatto prigioniero prima di tornare a Bolzano nel 1947. Sulle Dolomiti cominciò ad arrampicare con un gruppo dell'Alpenverein ed aprì numerose vie in Marmolada ed itinerari impegnativi come il Gruppo Sella e lo spigolo sudest del Piz Ciavazes (1953) o la parete nordovest del Passo Pordoi (1953). Nel 1954 diventa guida alpina e partecipa alla citata spedizione sul K2.

4 commenti:

  1. era un grande e se è tornato lussù dove osano le aquile

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  2. Peccato che io non lo conoscevo, era sicuro un grande.
    Buona serata.
    Tomaso

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  3. Veramente un grande per tutto quello che è riuscito a fare. Io sono appena arrivato alla ferrata del Civetta. Avrei molto amato incontrarlo dal vivo. Ciao.

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  4. Ancora oggi non si è arrivati ad una versione congiunta sulle vicende che precedettero l'attacco all'ultimo tratto per la salita alla cima del K2. Impresa mai tentata fino ad allora e che tanti morti ha causato nella sua realizzazionè a causa delle condizioni proibitive che comportavano l'ascesa degli ultimi metri.Gli alpinisti sapevano che oltre un certo limite non era possibile andare. La chiamano la zona della morte, quella che è sopra i 7.800-8.000 metri, oltre la quale un essere umano, per quanto coperto, allenato ed equipaggiato, non può stare più di qualche giorno al massimo senza andare incontro a morte certa. Qui il fisico non si abitua mai alla carenza di ossigeno, le cellule cominciano progressivamente a morire e le funzioni vitali dell'organismo si riducono fino al decesso. Anche chi utilizza bombole d'ossigeno deve combattere gli effetti della bassa pressioni sul cuore, sui reni, sulla respirazione. Ogni minimo movimento causa tachicardia e affanno, per quanto si beva si è sempre disidratati e per quanto si dorma non si recuperano mai le energie. Fu proprio nella zona della morte che la spedizione italiana del 1954 incontrò le maggior difficoltà. Questa è ancora la cronaca di quegli eventi. Il campo VIII - il penultimo - viene montato a 7.627 metri il 28 luglio 1954. I primi tentativi di montare l'ultimo campo, a 8.100 metri, falliscono. Il 29 luglio Compagnoni e Lacedelli tentano invano di scalare un muro verticale di ghiaccio e rientrano distrutti di fatica all'ottavo campo. Altri quattro membri del gruppo, tra i quali il ventitreenne Walter Bonatti, partono dal campo VII per portare le bombole di ossigeno ai due compagni, ma uno è costretto a discendere fino al campo base a causa del mal di montagna e un altro è troppo affaticato per proseguire. Le bombole restano dunque al settimo campo, mentre Compagnoni, Lacedelli, Bonatti e Gallotti dormono all'ottavo campo. Il giorno successivo Compagnoni e Lacedelli montano l'ultimo campo a 8.100 metri, più in alto di quanto concordato con Bonatti. Questi, risalito con le bombole dal settimo campo insieme all'hunza Amir Mahdi, non riesce a raggiungerli in tempo ed è costretto a passare la notte tra il 30 e il 31 luglio all'aperto, su di un terrazzino di pochi metri scavato nella neve con le piccozze, affrontando un bivacco notturno senza tenda e senza sacchi a pelo mentre nella notte si scatena una bufera. Mahdi è in stato confusionale, mezzo assiderato, e Bonatti deve trattenerlo più volte per evitare che cada nel canalone. Nessuno dei due farà ricorso all'ossigeno destinato ai compagni. Il 31 luglio Mahdi, ancora confuso e con un grave congelamento degli arti (a causa del quale in seguito subirà diverse amputazioni) ridiscende prima dell'alba, seguito poco dopo da Bonatti. Compagnoni e Lacedelli recuperano le bombole dal bivacco improvvisato e danno l'ultimo assalto alla vetta, che raggiungono alle 18. Sulla vetta, dove nessun essere umano era mai stato prima di loro, piantano una piccozza con le bandiere italiana e pakistana. Per i 23 anni successivi la vetta del K2 rimarrà inviolata.
    Enio

    ps. Bonatti fu accusato di aver consumato l'ossigeno delle bombole per invidia e per impedire a Compagnoni e Lacedelli di salire per l'ultimo tratto. Recentemente è stato riabilitato ampiamente. Una versione univoca sulla vicenda non è stata mai data e si spera che nell'ultimo libro il tutto venga chiarito. Un fatto è certificato, sul K2 oggi c'è la bandiera e la piccozza usata da Compagnoni.

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