Una delle parole che ricorre di più in questi anni è «blocco». Bloccare possiede una serie di inquietanti sinonimi che, ad elencarne solo qualcuno, fanno mancare l'ossigeno: cingere, circondare, asserragliare, isolare, assediare. Molti vogliono bloccare il traffico in entrata, alcuni quello in uscita dalle grandi città, altri i prezzi, il paniere, gli orari... Questa sindrome da fortezza una serie di ragioni ce l'ha: troppi pendolari, troppe auto, carovita alle stelle. Vista di sbieco, nasconde tuttavia un'innegabile nevrosi. Il traffico, ad esempio: qualunque città media europea vive assedi ben più vigorosi dei nostri, tempi di attesa almeno doppi, improbabili eventualità di parcheggio. Saperlo, lo sappiamo. Chiunque vada ovunque in auto fuori da questo paese dei campanelli vi torna, dal punto di vista automobilistico, felice. Medesima sensazione per le «polveri» (delle Acciaierie e no), i rumori, la folla. Per la vita, l'arte, le opportunità, le iniziative, la moda ecc. non è così, ma questa, come diceva il poeta, è un'altra storia. Questa nostra nevrosi da blocco ci porta a vivere malissimo le normali (altrove) difficoltà del pendolare che avendo magari scelto di spendere qualcosa in meno per la casa accetta (sempre altrove) di spendere un poco di tempo in più sulla strada; e ancora, di pretendere che gli unici passi d'accesso alla città, vie pensate per il traffico, diventino all'improvviso passeggiate. E via elencando. Questa nevrosi è a tal punto penetrata in ogni angolo della nostra vita da non vederne gli aspetti più pericolosi. Il «blocco», per cominciare. Dovrebbe avere un'accezione strettamente legata alla temporaneità. Si blocca una cosa per poco tempo, nelle emergenze. Di più, si soffoca. Viene invece sempre più invocato «strategicamente», al pari di una autentica soluzione. Tanto che se ne sono appropriati anche i consigli comunali, provinciali e le rispettive giunte. Che di questa sindrome sono invece in parte responsabili: sono stati costruiti ben dentro il centro storico della città «tutti» gli uffici provinciali, le università, le ripartizioni strategiche e infine i parcheggi e ora si pretende che la gente non vi possa arrivare. Quando qualcuno, anni fa, aveva proposto di costruire centri direzionali e atenei nei quartieri, gli avevano dato del matto. In verità la sindrome da blocco nasconde una carenza: quella della politica. Non ci serve un blocco del traffico o dei prezzi. Ci serve, e presto, una «politica» del traffico e dei prezzi. Meno sbarre e più progetti. In alcuni casi più coraggio: nello scegliere, creando ragionate priorità; nel dire ai cittadini, ad esempio, che non tutte le strade possono diventare giardini: alcune devono essere dedicate a chi si sposta. Ma anche questo appartiene al mondo, a volte complicato, della politica. Il rischio, a continuare così, è che si blocchi anche lei.
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